mercoledì 20 gennaio 2010

Turbak, la terza parte...

"Riparto domani sera..."
"Si. Lo so."
E abbassai lo sguardo per non tradire la rabbia per quel figlio che forse non avrei mai più rivisto.
"Mio fratello non è ancora arrivato?"
"Non so dove sia, non ho potuto avvisarlo."
"Arriverà. Mamma lo ha fatto. Arriverà."
Cosi capii che Marta aveva avvisato i suoi figli che stava per morire. E loro, perché non erano corsi prima che morisse? Che razza di anima hanno questi figli tuoi, Marta?
"Mamma ci ha fatto giurare di non venire prima. Non voleva..."
Come se mi avesse letto nel pensiero il mio ragazzo aveva risposto.
E tu che razza di madre sei, che muori senza vedere i tuoi figli?
La testa stava per scoppiare.
Misi sul fuoco il caffè. Sentii la voce di Marta, mescolata con la sua, dire mentre si sedeva: "Attento agli schizzi!"
Lo guardai con occhi curiosi, questa volta. Era uno dei tormenti di Marta, quello degli schizzi della vecchia caffettiera italiana.
"Mamma voleva che rimanessi solo tu con lei."
Mentre beveva il suo caffè, non alzò mai gli occhi dalla tazza.
Poi sfilò dalla tasca una busta. Riconobbi la scrittura di Marta nello spazio dell'indirizzo. La aprì e sentii mancare il respiro.
C'era una foto, una mia vecchia foto. Stavo seduto in veranda, con il sassofono tra le mani e sorridevo. Erano due condizioni anche solo difficili da ricordare, adesso.
Sul retro della foto Marta aveva scritto: "Tuo padre ha bisogno di te..."

Mi ricordai del sassofono e del monte dei pegni.
Il denaro era servito per qualche riparazione in casa, qualche piccolo acquisto. Cambiai anche due vetri nel negozio, e il "tubo" sparì. Marta non lo seppe che parecchio tempo dopo.
La sera scendevo come sempre in cantina. Cominciai a restar seduto a fissare il muro. A volte mi appisolavo sulla vecchia poltrona. Stringevo tra le dita la pipa di mio nonno.
Una pipa che non avevo mai fumato e di un nonno che non avevo mai conosciuto. L'avevo trovata in un cassetto, quando avevamo preso questa casa. Sapevo che questa casa era stata a lungo disabitata, appartenuta a due anziani del paese.
Così considerai quella casa come quella dei miei nonni. Lo feci mentre radunavo le loro cose dai cassetti e dagli armadi. Cose che i loro figli avevano lasciato, abbandonato.
Mi convinsi di appartenere a quella famiglia mai conosciuta.
Parecchi anni dopo, portai tutto quello che avevo raccolto e conservato in piccole scatole di cartone bianco, al centro del cortile per un falò. L'ennesimo taglio con un passato che comunque non esisteva.
La cantina era il mio rifugio, ma anche l'anticamera della fine.
A poco a poco cominciai a togliere tutte le cose mi identificavano.
Dopo il "tubo", mi liberai delle stampe, dei dischi, degli spartiti. I libri resistevano. Così feci un elenco e a gruppi di venti li chiudevo in scatole su cui scrivevo i titoli e gli autori. Li accatastai dietro la porta e sono ancora lì. Ancora, dopo tanti anni e tanta umidità. Speravo in cuor mio che almeno uno dei miei figli sarebbe tornato, magari dopo la mia morte, e ne avrebbe preso possesso. E con loro, un pezzo di me. Con tutta l'umidità...

Ma la cantina si svuotava, come la mia anima. Il tempo passava. I figli crescevano, come tutti i bambini.
E per me era una discesa all'inferno, senza tregua e senza patti.
Lei mi guardava spesso di nascosto mentre stavo seduto in giardino. Sentivo i suoi occhi sulla mia figura. Li sentivo cercare il mio sguardo perso oltre quella mezza collina di fronte a casa.
Oltre quella mezza collina c'era il mare. Il mare da dove ero venuto. Marta sapeva che che non me sarei mai più andato, anche se non sopportavo più la mia vita a Turbak.

3 commenti:

  1. Avanti così, è buono.
    Si, credo sia buono.

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  2. Aspetto la quarta parte...

    Rita

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  3. ciao, mi è sembrato di leggere qualcosa di familiare come una sceneggiatura ho immaginato Sonia Bergamasco nelle vesti di Marta spero che questo non ti dispiaccia, denso di ricordi, bello....

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